Maurizio Castro, direttore risorse umane Electrolux Zanussi
Nemmeno nella comunità imprenditoriale mancano gli ingenui: coloro i quali, per esempio, magari decetti dalle censure implacabili della Cgil e della sinistra diessina, credono che il Libro bianco disegni un modello di legislazione del lavoro e di relazioni industriali acconcio a rendere più gracile, più inibito, più remoto il ruolo delle organizzazioni sindacali. È vero invece il contrario. Laddove immaginassimo già divenuta concreta e vera l’architettura del Libro bianco, troveremmo un sistema in cui l’area d’intervento, la dimensione, la diffusione e l’intensità della contrattazione risulterebbero accresciute ed elevate.
Non solo: ma la traslazione del focus del sistema contrattuale dal contratto di categoria al contratto decentrato, territoriale, distrettuale, aziendale che sia, avrebbe effetti cantaridei, e non già bromurosi, sul dispiegamento della contrattazione medesima nei luoghi di lavoro e sull’esercizio della rappresentanza collettiva. Altro che la tradizionale, torpida delega alle corrusche, ma lontane e incruente battaglie nazionali!
Non a caso, gli autori del Libro bianco, figli del più schietto riformismo continentale, hanno sentito la necessità di integrare la proposta riforma, bilanciando il decentramento contrattuale, di per sè foriero di un rapporto agonistico fra gli interessi in campo, con un invito rigoroso e vigoroso all’introduzione di forme di partecipazione, di per sé catalizzatrici di processi di sintesi o almeno di composizione unitaria e organica.
Tra l’altro, sia consentito il dirlo con schiettezza: per mantenere in equilibrio il sistema rinnovato, l’elemento della partecipazione è decisivo e irrinunziabile. Al centro del modello del protocollo del 23 luglio 1993 stava ancora la contrattazione così come essa sta al centro di quello del Libro bianco: ma, nel primo caso, trattenuta, dall’alto, dalla funzione della “concertazione”; nel secondo, sostenuta, dal basso, dalla funzione della “partecipazione”. Entrambi i modelli malamente rovinerebbero se alla “contrattazione” fosse tolto un riferimento, di senso e di valore, cui ancorarsi: solo che in quello del 1993, il quale ha svolto egregiamente la sua missione storica ma ha perciò esaurito ogni capacità propulsiva, trattavasi di un riferimento, come nella tradizione dell’esperienza italiana, di fonte centrale, di tipo prescrittivo, produttivo di una gestione amministrativa; e invece in quello disegnato dal Libro bianco, il quale si prefigge di inverare e materiare in una prospettiva di innovazione fortemente scandita esperienze europee per vocazione e suggestione, trattasi di un riferimento con fonti plurime e periferiche, di tipo induttivo ed ‘educativo’, produttivo di una gestione creativa e proattiva.
Un quadro siffatto è d’altronde coerente con uno scenario macroeconomico dove è oramai evidente che i successi competitivi si attingono sviluppando ed esaltando le competenze distintive, quelle più raccolte e radicate intorno a sistemi, a “grumi”, di intelligenze e di esperienze collettive. Comunitariamente e quasi etnicamente costituiti in impresa o in rete di imprese. E nessuna impresa sarà disponibile, in un agone concorrenziale vieppiù violento e inesausto, a rinunziare ai vantaggi offerti dalla specialità del proprio “sapere” di relazioni industriali, appiattendosi e irrachitendosi nei “medioni” delle categorie o dei settori.
Da tutto ciò discende un auspicio: che la riforma degli assetti contrattuali sia avviata con ruvida urgenza dalle parti sociali, sia accompagnata e sostenuta dal Governo senza intrusioni arroganti ma anche senza ipocriti neutralismi, e sia condotta rapidamente a risultati netti, forti, “rivoluzionari”. Mai come in questa materia, e come in queste circostanze, è meglio un cambiamento radicale, anche se osteggiato da molti, che una conservazione pavida dell’esistente, anche se protetta dal rassegnato consenso dei più.
Quanto ai lineamenti della riforma, potrebbero risultare articolati intorno a queste direttrici:
a) la riduzione del contratto nazionale di categoria alla definizione (quinquennale) delle retribuzioni minime e degli standard in materia di attivazione, gestione e risoluzione del rapporto, di orario di lavoro e di inquadramento professionale;
b) il corrispettivo rafforzamento del contratto decentrato, nella forma tipica del contratto aziendale, ovvero in quella del contratto distrettuale, con durata triennale e piena potestà di regolare, anche in forma derogativa, le materie oggetto degli standard nazionali;
c) l’attivabilità residuale e su base volontaria, per le imprese a dimensione locale non coinvolte nella contrattazione aziendale, di contratti territoriali definiti in sede regionale, anch’essi di durata triennale;
d) il drastico contenimento dell’intervento della magistratura del lavoro (contaminante, e nell’esperienza storica ostile all’autonomia delle parti), sostituita da collegi arbitrali di fonte contrattuale ma dotati degli adeguati poteri per la soluzione delle controversie collettive, compreso quello di sanzionare i comportamenti delle parti contrarii al generale dovere di buona fede negoziale;
e) l’introduzione di statuti di partecipazione da adottarsi volontariamente nelle imprese, con la previsione di standard minimi certificati (declinati in termini di partecipazione organizzativa, strategica, economica, azionaria, anche attivabili singolarmente e progressivamente) funzionali al riconoscimento di adeguate agevolazioni anche in materia di autonomia normativa;
f) la ridefinizione dei criterii e delle forme della rappresentanza sindacale, funzionale all’attribuzione di appropriate potestà contrattuali generali e all’individuazione di efficienti e affidabili strumenti di validazione democratica.