Paolo Reboani – coordinatore area Mercato del lavoro – Isae
Le maggiori istituzioni internazionali e numerosi studi nazionali hanno richiamato più volte l’attenzione sul fatto che il mercato del lavoro italiano è caratterizzato da uno dei più alti gradi di rigidità della legislazione a protezione del posto di lavoro. Allo stesso tempo, evidenze empiriche generali, sebbene non sempre conclusive, hanno sottolineato come tale grado di rigidità tenda ad associarsi ad una bassa creazione di impiego e ad una forte segmentazione del mercato del lavoro, a sua volta generatrice di pericolosi squilibri socio-generazionali.
Il disegno di legge delega, pesentato dal Governo dopo un ampio confronto con tutte le parti sociali successivamente alla presentazione del Libro bianco sul mercato del lavoro, contiene delle misure prioritarie di intervento per aumentare il tasso di occupazione, realizzare un mercato trasparente e dinamico, conseguire un più efficiente ed equo assetto regolatorio.
Il mercato del lavoro italiano già oggi soffre di evidenti e storici fenomeni di segmentazione (dualismo territoriale, dualismo generazionale) a cui rischia di aggiungersi un nuovo forte dualismo, in parte già presente, tra coloro che sono occupati, e beneficiano di una protezione, e coloro che sono in cerca di una nuova occupazione, e quindi non dispongono né di una rete di sicurezza né di un potere contrattuale. L’alto grado di regolamentazione determina, dunque, un mercato del lavoro iniquo e squilibrato, dovuto peraltro anche, da un lato, alle numerose flessibilità in entrata, finalmente introdotte a partire dal “pacchetto Treu”, dall’altro alla contemporanea mancanza di flessibilità in uscita, in assenza di un qualsiasi intervento di riforma. Un mercato con alti livelli di protezione dell’occupazione a tempo indeterminato non nega l’esistenza di flessibilità, ma origina un sistema a flessibilità elevate tutte al margine, contraddistinte da tanti lavori atipici, ma con bassi tassi di conversione, bassa durata del rapporto di lavoro, basso tasso di job turnover e alte anzianità di servizio.
Gli interventi di politica del lavoro, dunque, devono agire affinché da un lato il nostro mercato del lavoro non soffra delle disfunzioni fin qui sottolineate, e sperimentate da un mercato del lavoro simile al nostro quale quello spagnolo, dall’altro non sia permanentemente affetto da una disparità di opportunità. Obiettivo generale è l’aumento dell’occupazione.
Il disegno di legge delega disegna una prima riforma complessiva della regolamentazione del mercato del lavoro in Italia, che punta a ridurre le asimmetrie tra flessibilità in entrata e rigidità in uscita, e a garantire una più estesa copertura sul mercato del lavoro. Sulle flessibilità in entrata si opera una profonda revisione di contratti di accesso al lavoro, nella direzione sia di una loro razionalizzazione e riduzione, sia di una loro più ricca modulazione, basata sulle esigenze delle imprese e dei lavoratori. Sulle flessibilità in uscita si introducono elementi, sperimentali, che possono contribuire ad una più elevata certezza dei costi del licenziamento, necessari per un’efficace pianificazione delle risorse umane, nonché ad una maggiore velocità dei processi del lavoro, con benefici per tutti i soggetti. La protezione non più del posto di lavoro ma nel mercato del lavoro e la garanzia delle possibilità occupazionali del singolo individuo vengono assicurate da azioni, anch’esse sperimentali, che tendono a legare strettamente ammortizzatori sociali e attività di formazione, con una più diretta responsabilizzaazione del singolo cittadino (il welfare to work di Blair) nonchè da misure volte ad accrescere l’efficacia dei meccanismi di domanda e offerta.
In sostanza, infondate appaiono le critiche di coloro che sostengono che il provvedimento del Governo sia distorsivo del mercato e produca un abbassamento delle tutele. In particolare, la sperimentazione relativa all’art. 18 interessa tre fattispecie relavamente alle quali si può affermare che il lavoratore non peggiora il proprio status ma anzi ne può derivare un miglioramento; è reversibile (a meno di non pensare che il legislatore sia in malafede); interviene su alcuni problemi che affliggono la struttura economica e produttiva del nostro Paese: sommerso e “nanismo” delle imprese.
Dalla sperimentazione deriveranno tutte le indicazioni utili a preparare la fase di riforma strutturale della regolamentazione del mercato del lavoro, in cui confluiranno i cambiamenti istituzionali, economici e giurisprudenziali, in cui verranno affrontati strutturalmente i problemi delle protezioni, delle flessibilità e delle rigidità del mercato del lavoro. Tuttavia, senza sperimentazione, senza avere maggiori elementi di certezza, come si potrà attuare una riforma così complessa e delicata? Il tentativo vale dunque il rischio se in questo modo riusciremo ad innalzare il tasso di occupazione, se garantiremo un lavoro di qualità, se porremo la parola fine ad una diatriba ormai decennale tra esperti, politici e attori sociali.