Chiara Moriconi
Nell’analizzare il rinnovo del contratto collettivo dei chimici prima ancora del merito credo valga la pena sottolineare il metodo con cui si è arrivati alla conclusione.
Non tanto per il fatto che nel corso dei quattro mesi di trattative le organizzazioni sindacali non hanno effettuato neppure un’ora di sciopero, quanto piuttosto perché ancora una volta i chimici sono riusciti a non far prevalere sul tavolo negoziale tensioni esterne (penso ovviamente al rapporto tra Confindustria e Cgil, Cisl, Uil, ma anche quello interno alle tre confederazioni sindacali, le cui difficoltà sono evidenti, e quello meno visibile, ma non per questo idilliaco, tra Confindusrtia e Federchimica), che avrebbero potuto rendere assai difficile la firma di un accordo. E’ questo un merito che va riconosciuto sia a Federchimica che alla Fulc, che, animate da un sano pragmatismo, hanno saputo nel corso degli anni consolidare un forte e corretto rapporto di relazioni sindacali, che emerge anche nel merito del contratto.
Oltre alla normativa consolidata, che riguarda più propriamente le relazioni industriali (parte I del contratto), trovano infatti ampio spazio e vengono rinforzate tutte le tematiche che prevedono un coinvolgimento ed una gestione congiunta delle parti. Così è in particolare per la formazione e l’ambiente, ma anche per il Fondo integrativo. Un discorso a parte merita l’istituzione del Fondo sanitario integrativo, che è sicuramente la maggiore novità dell’accordo, ma anche quella che, mio avviso, suscita maggiori perplessità.
Per quanto attiene alla formazione, accanto a quella individuale viene disciplinata la formazione continua con l’obiettivo di fornire ai lavoratori percorsi formativi in grado di essere utilizzati sia all’interno della propria realtà lavorativa, sia in prospettiva di una diversa collocazione nel mondo del lavoro. A tal fine viene costituito un organismo bilaterale per la formazione chimica con funzioni di supporto informativo ed organizzativo per l’intera materia e, in particolare, per la definizione del cosiddetto Patto formativo, che vede da un lato l’impegno delle imprese a far partecipare il lavoratore ad iniziative di formazione continua anche esterne, dall’altro l’impegno del lavoratore a partecipare a queste iniziative utilizzando anche il proprio tempo libero, sia esso derivante da istituti contrattuali, che più propriamente extra lavoro.
E’, quella della formazione continua, una idea forte, soprattutto nell’attuale contesto produttivo caratterizzato da continue innovazioni tecnologiche che richiedono una sempre maggiore conoscenza e adattabilità dei lavoratori. Il dubbio nasce sulla concreta fattibilità di queste iniziative. Già, infatti, esistono difficoltà nell’individuare spazi formativi per rispondere ad esigenze quotidiane ed immediatamente operative, penso che ancora di più ve ne saranno per bisogni più generali e futuribili.
Anche per quello che riguarda l’ambiente e la sicurezza viene rafforzata la “gestione partecipata, fornendo ulteriori momenti sia di formazione che di informazione e prevedendo tra l’altro una assemblea annuale retribuita in cui il rappresentante dell’impresa e quello dei lavoratori presenteranno il rapporto annuale sulla sicurezza ed illustreranno i progetti futuri. (L’intera parte del contratto è stata riscritta con un linguaggio, se mi si passa il termine, più moderno, come a voler sottolineare anche con le parole l’importanza che le parti riconoscono a questi temi)
Viene poi ulteriormente approfondita la disciplina del Fonchim (così si chiama il Fondo di previdenza integrativa del settore), già operativo da quattro anni, con la messa a disposizione di strumenti idonei ad una maggiore informazione per il lavoratore, compreso l’impegno nelle aziende con più di cento addetti di fornire alle Rsu adeguata “strumentazione informatica” che consenta al lavoratore di acquisire informazioni sulla propria posizione individuale, ed il riconoscimento di un’ora aggiuntiva retribuita per convocare un’assemblea sull’andamento generale del Fondo.
Sempre dal punto di vista normativo appare interessante, pur se anch’essa tutta da verificare nella realtà operativa, la possibilità di attivare il telelavoro, e quindi la ricerca di una specifica disciplina di questa particolare prestazione di lavoro che troverà sicuramente un suo sviluppo anche al di fuori del tipico rapporto di lavoro, subordinato, meglio adattandosi a forme di lavoro autonomo, quali la consulenza o forme diverse di collaborazione, e comunque anche, e forse in modo prevalente, in settori diversi da quello dei chimici. E’ comunque una opportunità che, a determinate condizioni organizzative, si offre al lavoratore e all’azienda, definendo almeno in parte le modalità della prestazione
Ancora per la parte normativa un ultimo accenno va fatto all’introduzione di fattispecie aggiuntive rispetto alle clausole di legge per l’utilizzo dei contratti a termine e di quelli di lavoro temporaneo, e la definizione di percorsi per rendere flessibile la normativa contrattuale con deroghe eccezionali e transitorie, per rispondere a specifiche esigenze aziendali.
Per quanto riguarda la parte economica, e quella normativa che ha incidenza immediata sui costi, l’accordo prevede:
– una riduzione di otto ore/anno
– un aumento salariale medio nel biennio 2002/2003 per il settore chimico farmaceutico di 88 euro (per gli altri due settori previsti nel contratto, fibre e ceramiche, gli aumenti sono leggermente inferiori), comprensivo degli aumenti dei minimi tabellari e dell’indennità di posizione, introdotta con il contratto del 1994 per valorizzare la professionalità, erogato in tre tranches
– l’erogazione di una “una tantum” di 60 euro (il riferimento è sempre alla media)
– l’aumento medio di circa 3 euro a partire dal 1/1/2003 del premio mensile per quei lavoratori che operano in aziende in cui non esiste il premio variabile
– a partire da luglio 2002 viene aumentato di 15,72 euro l’elemento aggiuntivo della retribuzione per i quadri.
La definizione degli aumenti contrattuali sembra essere in linea con quanto previsto dall’accordo del luglio ’93 nella accezione più ampia del recupero totale del potere di acquisto relativo al biennio 2000/2001 per l’adeguamento salariale da operare sulla base del tasso di inflazione programmato per il nuovo biennio 2002/2003.
Per il rinnovo della sola parte salariale previsto all’inizio del 2004 il coefficiente da utilizzare per l’incremento dei minimi tabellari è stato definito in 11,34 euro a parametro 100, che risulta aumentato rispetto a quello utilizzato in precedenza poiché tiene conto da un lato dell’inflazione reale e dall’altro dell’inflazione programmata per il periodo 2002/2003.
Una riflessione a parte merita, come accennato prima, l’introduzione del Fondo sanitario integrativo. E’ sicuramente questa la parte più innovativa dell’accordo, che non mi risulta abbia precedenti in analoghi rinnovi contrattuali, ma è anche quella che, almeno a me, fa nascere maggiori perplessità, sia in termini di politica sindacale che in termini di costi.
L’aver fortemente voluto, come risulta dall’andamento della trattativa e dalla sua conclusione, da parte sindacale l’introduzione di un Fondo sanitario integrativo a carattere nazionale indica un profondo mutamento della politica sindacale in materia.
Dall’introduzione, infatti, dell’attuale sistema sanitario il sindacato, con toni diversi al proprio interno, si era opposto ad interventi, penso soprattutto al livello aziendale, in materia, anzi aveva voluto ed ottenuto che forme integrative di assistenza (che potevano non essere solo quelle sanitarie) venissero ricondotte ad erogazioni salariali all’interno del contratto, rivendicando, e facendo su questo tema importanti e dure battaglie, la piena “pubblicizzazione” di queste funzioni. E così si era andati verso lo smantellamento di una rete di servizi offerti al livello aziendale ai lavoratori (e che a questi molto piacevano), perché creavano diseguaglianze tra lavoratori e perché riconducibili ad una visione paternalistica del rapporto datore di lavoro e lavoratore e quindi inaccettabili.
Certo molte cose sono cambiate nel corso degli anni, soprattutto degli ultimi, e sicuramente l’obiettivo e le modalità del Fondo così come pensato adesso sono molto distanti da quella mentalità paternalistica che nei tempi passati si è voluto e saputo cambiare. Ma a me pare comunque che vi sia un’altra e diversa contraddizione.
Stiamo assistendo in materia a profondi mutamenti, non ancora ben delineati nelle finalità e negli interventi. Che vi sia una tendenza a riproporre forme di privatizzazione anche in questa materia mi sembra assolutamente evidente. E mi era parso di capire che il sindacato confederale nel suo insieme fosse deciso a contrastare questa tendenza.
Se così è, mi pare contraddittorio introdurre in questo momento in un contratto nazionale, tra l’altro con una disciplina piena di se…, di ma … e di però…, una materia così delicata ed incerta nei contorni, riconsegnando al contratto collettivo un ruolo di panacea di tutte le disfunzioni di questa società, come rassegnandosi alla inefficienza e diseguaglianza dell’attuale gestione del sistema sanitario.
Ma quello che a me suscita qualche perplessità dal punto di vista sindacale (anche perché scelte di natura più politica sono sempre opinabili) ma di cui capisco la valenza per il singolo lavoratore, risulta quasi completamente incomprensibile dal punto di vista aziendale. I costi aggiuntivi previsti dalla costituzione del Fondo (contributo annuale a carico dell’azienda a partire dal 2004, che in fase di avvio del Fondo viene anticipato al settembre 2003 di 52 euro per ogni lavoratore in forza, indipendentemente dalla effettiva iscrizione al fondo), sono evidentemente ritenuti sostenibili e compatibili dalle aziende del settore. E così come previsti, al momento sicuramente lo sono. Certi quindi i costi attuali, decisamente incerti nelle proiezioni future.
Anche perché incerte le finalità ed i contenuti del Fondo, soprattutto in assenza di una definizione precisa del confine fra il ruolo del pubblico e quello del privato. Come incerto è il regime fiscale del Fondo. Potendosi, in base alla non completa e contraddittoria normativa vigente, prevedere agevolazioni fiscali nelle ipotesi espressamente disciplinate dal d.lgs. 229/99 che ha istituito i cosiddetti fondi doc (fondi sanitari integrativi del servizio sanitario nazionale) ed i cui decreti attuativi non sono ancora stati emanati, rendendo così difficile capire se il fondo previsto dal contratto potrà essere compreso tra questi, e comunque, al momento, prendendo in considerazione prestazioni aggiuntive non particolarmente rilevanti.
In assenza quindi di una precisa definizione dei livelli essenziali di assistenza garantiti dal servizio sanitario nazionale, per definire per esclusione quelle possibili oggetto di prestazioni integrative, ed in mancanza di certezza sul trattamento fiscale, mi sembra che si sia gettato il cuore oltre l’ostacolo.
Non solo: se un intervento integrativo vuole essere efficace non può che essere indirizzato verso i reali bisogni dei lavoratori, che in materia sanitaria sono in crescita e sempre più complessi e diversificati. Così come non potranno limitarsi, e ciò è già previsto dal contratto, ai bisogni del solo lavoratore, ma riguarderanno il nucleo familiare, anche se non vengono indicate le modalità di intervento, e quindi con ulteriori e non determinabili aggravi dei costi.
Se questa è una prospettiva realistica forse sarebbe stato opportuno un ulteriore approfondimento all’interno di un quadro normativo meno incerto e confuso.
Non vi è dubbio che l’inserimento di questo tema all’interno del contratto può essere considerato un salto di qualità nelle relazioni industriali e risponde, almeno sulla carta agli interessi dei lavoratori del settore, ma può anche aprire in futuro grandi contraddizioni alle parti nella ripartizione delle risorse a disposizione dei rinnovi futuri.
Questi i punti più qualificanti del rinnovo, che comunque non ne esauriscono il contenuto. Mi piace qui ricordare una piccola norma introdotta dal contratto e che prevede una integrazione del trattamento previsto per legge per i donatori di midollo osseo. A me pare un segno di grande civiltà.
In conclusione è nell’insieme, a mio avviso, un buon contratto, che guarda avanti, in qualche caso anche troppo.