Franco Lotito, segretario confederale Uil
Da qualche settimana a questa parte ha ripreso quota il dibattito sul rapporto tra politica e sindacato. Merito – e cosi si può dire – della manifestazione del 23 marzo promossa dalla Cgil, del congresso nazionale che la Uil ha celebrato a Torino lo scorso mese di febbraio e del segretario generale della Cisl, che con due interventi a mezzo stampa ha riproposto la questione della collocazione politica del sindacato italiano. Va detto subito che questo è un buon segno, perché prospetta un recupero di centralità del ruolo del sindacato nella vita politica del Paese. Vuol dire che con tutta probabilità comincia ad essere avvertita la necessità di una riflessione approfondita sul nodo essenziale della riorganizzazione dei ruoli delle forze sociali, delle forze politiche e – naturalmente – delle forze economiche in un sistema che – al di là delle pulsioni neo-proporzionalistiche che qua e là affiorano nel dibattito delle forze politiche – va ancorandosi sempre più saldamente alla pratica del maggioritario. Vediamo i fatti che hanno dato luogo alla ripresa di questo dibattito.
Vi è stato l’evento del 23 marzo (e non è stato un giorno ‘nero’ per il sindacato), e chi ha osservato quella manifestazione ha potuto osservare un avvenimento di indubbia portata sociale e politica. Erano in piazza non solo i lavoratori ed i pensionati della Cgil, ma anche tutti i movimenti della società civile che sono maturati negli ultimi tempi sotto la spinta dell’insofferenza e dell’indignazione verso le scelte del Governo di Silvio Berlusconi. Quella manifestazione, dunque, è apparsa come uno straordinario convogliatore sociale di una spinta di fondo e che si sarebbe mossa in ogni caso. Sul palco della manifestazione c’era solo la Cgil a consumare una decisione di mobilitazione assunta in solitudine. L’assenza di una copertura unitaria rimane come un’ombra sopra una manifestazione, per il resto indubbiamente di grande rilievo sociale. E quell’ombra pesava ed imponeva alla Cgil l’onere di una straordinaria prova di equilibrio fra la natura sindacale dell’evento e l’esplicita domanda politica presente nella piazza. Si deve dare atto a Sergio Cofferati di aver compiuto uno sforzo ammirevole per tenere il suo intervento nell’alveo dei contenuti sindacali. Ma sotto il palco la musica era un’altra. C’erano poi gli esponenti delle forze di opposizione (e c’erano tutti). Erano lì non solo per esprimere la loro solidarietà con la lotta del sindacato, ma anche per tentare un punto d’intesa con la domanda politica dei movimenti.
A questo punto occorre fare un passo indietro, fino allo svolgimento del congresso della Uil; un evento che ha segnato un indubbio punto di svolta nei rapporti tra le organizzazioni sindacali ed il Governo da una parte, e nei rapporti interni tra Cgil, Cisl e Uil. Dall assise di Torino il governo di centro-destra attendeva il via libera alla trattativa separata. Se la Uil avesse detto di sì alla trattativa separata sul merito delle deleghe proposte dal Governo e volute dalla Confindustria, si sarebbe prodotta una modificazione strutturale del quadro dei rapporti politici tra le forze sociali ed il Governo e dello stesso sistema di relazioni sociali e sindacali, dando luogo non più soltanto ad una fase di acuta divisione ma ad una vera e propria bipolarizzazione, che avrebbe ricalcato le linee di demarcazione degli schieramenti politici. Come dire: il sindacato di opposizione da una parte, il sindacato governativo dall’altra; gli scioperi separati da una parte, gli accordi separati dall’altra. In una simile prospettiva, del sindacalismo confederale, inteso come soggetto autonomo, portatore di interessi generali provenienti dal mondo del lavoro, capace di incidere sulla realtà politica del Paese, non sarebbe rimasto più nulla.
Il rifiuto della Uil di adattarsi ad una simile prospettiva e dunque ad funzione meramente caudataria come forza sociale di fiancheggiamento sociale della maggioranza di Governo, ha costretto l’Esecutivo a rifare i suoi conti ed al tempo stesso ha riproposto alla Cgil ed alla Cisl il problema del recupero dei rapporti unitari fra le tre confederazioni. Ma su quali basi? Il primo punto di ripresa unitaria lo offriva il radicalismo delle posizioni del Governo sull’art. 18 della Statuto dei lavoratori. E sulla base del no a quella delega è stato facile ricomporre l’unità d’azione e proclamare lo sciopero generale.
La mobilitazione del 16 aprile sarà massiccia e senza tentennamenti, su questo non vi sono dubbi. E’ tuttavia è chiaro fin d’ora che dopo lo sciopero Cgil, Cisl e Uil dovranno trovare la via per trasformare la ritrovata unità d azione in unità contrattuale. In altri termini, mettere finalmente mano alla piattaforma contenente le proposte unitarie del sindacato ed al tempo stesso allestire un luogo di dibattito comune in cui affrontare il nodo delicatissimo ma ineludibile, della collocazione politica del sindacato. Per questo la Cgil dovrà necessariamente andare oltre la manifestazione del 23 marzo, nel senso che dovrà dire quale sbocco intende dare allo straordinario movimento che pure ha saputo suscitare Se a quel movimento non venisse offerto uno sbocco chiaramente riformista, che solo una piattaforma unitaria può dare, la deriva verso forme ribelliste, dominate esclusivamente dall estetica del gesto, sarebbe pressoché inevitabile.
In buona sostanza, dunque, il problema sta tutto nella possibilità di allestire una piattaforma unitaria fatta sì di lotte e di movimento, ma anche (e, direi soprattutto) di contenuti e di proposte. A questo punto, è del tutto evidente che qui si sta parlando della ripresa di una nuova fase di rapporti unitari nettamente contraddistinta da una chiara volontà riformista. Il sindacalismo confederale attraversa una di quelle fasi della sua storia in cui vengono messi in gioco i suoi stessi connotati identitari. C è – come si è detto – una tentazione movimentista che proviene dal sentimento di insoddisfazione e persino di irritazione che il Governo di centro-destra sta suscitando in mezzo alla gente, che crea forti suggestioni e che scorge nel sindacato la possibilità di unificare tutto ciò che si muove nella società civile: All opposto c è – altrettanto evidente ed insidiosa – la tentazione di rinchiudere l azione del sindacato nella torre d avorio di una ‘autonomia del sociale’ che a prima vista punta le sue carte su una spiccata autoreferenzialità del sindacato, il quale dovrebbe essere capace di prendere e di tenere le distanze dagli schieramenti politici in campo.
L una e l altra via condurrebbero inevitabilmente alla progressiva sterilizzazione della funzione politica del sindacato. Mentre oggi il problema è esattamente il contrario, e cioè come ridisegnare il ruolo dei grandi soggetti di intermediazione sociale di fronte alla politica ed all economia. Nella Uil questa discussione si è aperta con franchezza e con impegno. Ed è un serio errore interpretare questo dibattito come un nuovo tentativo di fare della Uil una specie di partito politico a disposizione della diaspora socialista. Il problema esiste, può riguardare i sindacalisti, ma non può e non deve riguardare il sindacato. Il problema del sindacato è quello di ridefinire il suo ruolo politico e la sua collocazione strategica nella società. E per farlo ha una sola strada da percorrere, ed è quella dell’autonomia e dell’unità.