di Riccardo Salomone e Simone Scagliarini
Riccardo Salomone[1] e Simone Scagliarini[2]
1. Il 2 maggio 2002 a Milano è stato siglato un nuovo ‘patto sul lavoro’ tra Comune, Camera di Commercio, associazioni imprenditoriali e organizzazioni sindacali. Quasi contemporaneamente, il 3 maggio 2002, anche a Roma è stato sottoscritto un protocollo di intesa tra associazioni datoriali e sindacali della regione Lazio avente ad oggetto l’avvio di una nuova fase di confronto territoriale, in prospettiva di un coinvolgimento di Istituzioni ed Enti locali, che vengono espressamente sollecitate a riaprire una fase concertativa per un confronto trilaterale.
Gli accordi in questione sono il segno della vitalità del confronto concreto sulle tematiche del lavoro e della occupazione a livello locale in una fase che, a livello nazionale si caratterizza per una forte tensione sindacale, dando vita ad una situazione quasi di stallo.
L’intesa milanese merita, per molte ragioni, una attenta considerazione. Anzitutto l’accordo segue a due anni di distanza il Patto Milano-Lavoro del 2 febbraio 2000, anch’esso seguito del pre-accordo del 28 luglio 1999, che tante polemiche avevano sollevato tanto in sede politica quanto nel dibattito scientifico[3]. Sia sul piano degli obiettivi che su quello dei contenuti sembra di assistere oggi quasi ad un ritorno al passato, come se poco o nulla fosse accaduto dal 1999 ad oggi[4].
I firmatari del patto, concordando sulla necessità di favorire il rilancio del tessuto economico e sociale cittadino, nell’ottica dichiarata ‘aumentare il tasso di occupazione, elevandone tendenzialmente la percentuale ai livelli europei’, si propongono obiettivi ambiziosi, che spaziano dalle politiche di promozione economica e di sviluppo locale, alle politiche di Welfare, fino alle politiche urbane e territoriali.
Le parti convengono, anzitutto, sulla opportunità di sviluppare politiche attive a sostegno delle fasce deboli del mercato del lavoro (che vengono esemplificativamente individuate nei lavoratori over 40 espulsi dal mercato del lavoro, negli immigrati, nei giovani in avvio lavorativo e nelle donne[5]) e intervenire a contrastare il fenomeno del lavoro sommerso, favorendo l’emersione delle ‘attività irregolari’[6]. In particolare nel Patto viene sottolineato il legame tra formazione professionale continua, in ingresso e durante tutta la vita lavorativa (nel lessico comunitario life-long learning), e le politiche attive del lavoro nell’ottica di un aumento della qualità dell’occupazione [7].
La stabilizzazione e l’aumento dell’occupazione rimangono invece gli obiettivi principali del protocollo di Roma, che a tal fine intende privilegiare formazione professionale e interventi che rafforzino la ricerca e l’innovazione tecnologica così da sostenere lo sviluppo dell’economia con la valorizzazione delle risorse locali.
La strumentazione predisposta per il conseguimento di questi obiettivi si muove su diversi fronti, in primo luogo il ricorso alla bilateralità. La bilateralità nella gestione della formazione professionale, del resto, è lo strumento privilegiato non solo dell’intesa milanese ma anche del Protocollo di intesa di Roma del 3 maggio 2002, sostanzialmente volto ad avviare una proficua fase di concertazione territoriale per favorire lo sviluppo locale e creare un raccordo esplicito tra formazione professionale ed organismi bilaterali, per un più mirato utilizzo dei Fondi Strutturali comunitari[8].
Il secondo strumento valorizzato dall’intesa milanese riguarda il potenziamento dei ‘percorsi di tirocinio e di alternanza scuola lavoro’, volto evidentemente a favorire tutte le opportunità occupazionali, e la relativa strumentazione lavoristica, in particolare per i giovani.
Ultimo ma non meno importante strumento è costituito dall’Osservatorio comunale sulle attività economiche e le caratteristiche locali del mercato del lavoro, che si inserisce nell’ambito di una strategia intesa ad armonizzare il miglioramento della qualità del lavoro con il generale miglioramento dei servizi della rete urbana, estendendo il confronto anche sugli orari della città, nell’ottica di consentire una conciliazione tra attività lavorativa e vita famigliare.
Ciò che contraddistingue tutta la strumentazione predisposta è il confronto periodico trilaterale, che, durante i due anni di sperimentazione di questa intesa, consentirà un monitoraggio in itinere che assicuri un pronto adeguamento a cambiamenti del tessuto economico – sociale. Questo monitoraggio costituisce la peculiarità dell’accordo milanese, che dunque viene a caratterizzarsi come un nuovo Piano di Azione programmatico per la provincia lombarda, con scadenze e controlli, e non soltanto come un Patto[9].
Un ultimo aspetto significativo del patto è quello che attiene alla posizione del Comune di Milano come ‘datore di lavoro’ pubblico. Riconoscendo la rilevanza delle situazioni in cui è la stessa amministrazione a trovarsi nella posizione formale o sostanziale (come avviene di fatto nei pubblici appalti) di soggetto che gestisce e coordina il fattore lavoro dell’area territoriale di sua competenza, il Comune si impegna a garantire politiche occupazionali di un certo rilevo (ed è già questa una novità per il pubblico impiego) ispirate e tendenzialmente dirette a promuovere il fattore qualità.
2. Il nuovo ‘patto sul lavoro’ di Milano, diversamente dal protocollo sottoscritto a Roma, si caratterizza per essere un patto trilaterale, un vero e proprio accordo concertativo che ha visto la partecipazione attiva del Comune, che ne è stato promotore, e della Camera di Commercio, dando vita ad un accordo bypartisan sulla modernizzazione del mercato del lavoro.
La vicenda dimostra l’inesistenza in sé di ostacoli e pregiudiziali (da un lato e dall’altro) che impediscano in concreto, il confronto, la trattativa e l’accordo tra parti sociali e potere politico, pur nelle sue diverse colorazioni. Ciò è inoltre indice significativo del consenso che più facilmente viene a crearsi sulle problematiche dello sviluppo territoriale confermando la condivisione ormai ampia e radicata, anche nel nostro Paese, delle prassi di tipo concertativo.
Tale consenso è certamente favorito dalla possibilità per le organizzazioni sindacali di spostare in tale modo il proprio baricentro operativo dalla tutela degli occupati alla tutela dei lavoratori nel mercato, valorizzando, in questo caso, il proprio ruolo di soggetto collettivo soprattutto nella gestione della emersione dal lavoro sommerso in controtendenza rispetto alla legge 18 ottobre 2001, n. 383 laddove si privilegia lo strumento incentivante di tipo individuale[10].
L’intesa poi si colloca perfettamente, da un lato, nell’ambito della riforma ‘federale’ del nostro ordinamento confluita nella riscrittura dell’intero Titolo V, Parte II, della Costituzione, dall’altro, si inserisce compiutamente nella c.d. Strategia Europea per l’Occupazione, avviata dal Consiglio europeo straordinario di Lussemburgo nel 1997 e confermata poi successivamente nel Capitolo sull’occupazione del Trattato di Amsterdam.
Per quanto attiene alla prospettiva federalista, l’art. 117 comma 3, come novellato dalla riforma, prevede la ‘tutela e sicurezza del lavoro’ tra le materie di potestà normativa concorrente, mentre ‘l’istruzione e la formazione professionale’ sono da annoverare tra le materia rientranti nella c. d. potestà esclusiva delle Regioni, definita dal comma quarto dello stesso articolo. Al riguardo il patto di Milano si sofferma in premessa sul ruolo degli enti locali in materia di politiche attive del lavoro, limitandosi così ad un aspetto del diritto del lavoro sul quale non sussistono dubbi circa l’attribuzione della potestà normativa. Tali dubbi sono stati invece sollevati dalla dottrina in relazione ad altri aspetti, in primis la possibile individuazione di tipi contrattuali nuovi ad opera della legislazione regionale, che ben potrebbe legarsi a politiche di promozione per l’occupazione, per i quali potrebbe farsi valere, a sostegno della potestà normativa esclusiva dello Stato, sia il limite di cui alla lettera l) del secondo comma (‘ordinamento civile’) sia il limite di cui alla lettera m) relativo alla ‘determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale’[11].
Una ulteriore considerazione deve svolgesi con riguardo al ruolo specifico della promozione delle politiche locali, che il nuovo art. 118 Cost. in primo luogo attribuisce ai Comuni, come organi principali di governo della comunità territoriale, cui sono attribuite tutte le funzioni amministrative, salva l’applicazione del principio di sussidiarietà. D’altra parte lo stesso principio, applicato in senso orizzontale e non solo verticale secondo quanto prevede il comma quarto del medesimo articolo, porta alla valorizzazione della ‘autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati per lo svolgimento di attività di interesse generale’, nella quale direzione sembrano potersi inquadrare anche gli accordi concertativi che, come la nuova intesa milanese, attribuiscono un ruolo decisivo alle associazioni imprenditoriali e sindacali nel monitoraggio e nella conseguente fase propositiva in ambiti particolarmente estesi, benché non si tratti ancora di una vera e propria gestione di attività prima affidate all’ente pubblico.
Per quanto riguarda invece l’ottica comunitaria è opportuno rilevare che l’intesa prosegue sulla direttrice individuata dalla stessa Commissione europea a partire dal Libro Bianco su Crescita, competitività e occupazione del 1993 e riconfermata recentemente nella Comunicazione del 6 novembre 2001 su Rafforzare la dimensione locale della Strategia europea per l’occupazione COM (2001) 629 def.
Da tempo le autorità comunitarie evidenziano che per attuare la strategia europea per l’occupazione è necessario mobilitare tutti i soggetti interessati a livello regionale e locale, incluse le parti sociali, tenendo conto della dimensione dello sviluppo regionale, incoraggiando gli enti regionali e locali a elaborare strategie occupazionali per sfruttare appieno le opportunità di creazione di posti di lavoro a livello locale e, promovendo in particolare le misure volte ad accrescere lo sviluppo competitivo e la capacità di creare posti di lavoro dell’economia sociale. Peraltro, in questo quadro, è stata proprio l’Unione europea a porre l’accento – debitamente valorizzato oggi dal patto di Milano – da un piano meramente quantitativo ad uno qualitativo, cioè sulla necessità che all’aumento dell’occupazione si associ la creazione di posti di lavoro di qualità e venga al contempo migliorata la qualità di quelli esistenti[12].
Infine l’intesa milanese conferma le peculiarità delle politiche locali italiane, solo in parte assimilabili a quelle di altre esperienze europee e d’oltreoceano. Le politiche di sviluppo infatti non sono più presidiate dallo Stato, come nel modello classico europeo continentale (principalmente anglosassone) ma i governi locali acquistano un ruolo decisivo anche in questo ambito. Al contempo il modello si discosta anche dal sistema tendenzialmente competitivo che caratterizza l’ordinamento federale statunitense, dove alle politiche di sviluppo economico condotte dai governi locali non si accompagna una adeguata politica di Welfare, lasciata allo Stato federale[13]. Come bene evidenzia il nuovo Patto di Milano il modello italiano si presenta così come una combinazione equilibrata di solidarismo e sostegno alla fasce più deboli e competitività e ausilio allo sviluppo.
[1] Ricercatore di diritto del lavoro presso il Centro Studi Internazionali e Comparati ‘Marco Biagi’ dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
[2] Dottorando di ricerca in ‘Metodi e tecniche della formazione e della valutazione delle leggi’ nell’Università degli Studi di Genova e collaboratore del Centro Studi Internazionali e Comparati ‘Marco Biagi’ dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia.
[3] Cfr. Treu, Il Patto sul lavoro di Milano: un modello di concertazione in stile europeo, Biagi, Il Patto Milano-Lavoro: un’intesa pilota, e Scarpelli, Il Patto Milano-Lavoro: le ragioni del dissenso, tutti in DRI, 2000, 123 ss.
[4] Sottolinea chiaramente questo punto anche Tiraboschi, Milano: nuova intesa pilota per l’occupazione e lo sviluppo economico, in GL, 2002.
[5] Non sfugga come l’attenzione specifica dedicata all’occupazione femminile vada nel senso indicata dal comma 7 dell’art. 117 Cost., che, benché si riferisca letteralmente alle sole leggi regionali, attribuisce tuttavia un ruolo importante alle Regioni ed agli enti locali nel compito di rimuovere ‘ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica’.
[6] L’espressione è utilizzata da Panzeri, Patto di Milano. La sfida della qualità, in questa Rivista.
[7] Evidenzia l’aspetto della qualità, tema particolarmente caro a Marco Biagi, M. Tiraboschi, Milano: nuova intesa pilota per l’occupazione e lo sviluppo economico, cit.
[8] Recentemente, il ruolo e le funzioni degli enti bilaterali nella gestione del mercato del lavoro sono stati oggetto di rinnovata attenzione da parte, specialmente, dei policy makers
Lo stesso Disegno di legge delega in materia di occupazione e mercato del lavoro (S. 848), peraltro, affidando una serie di compiti specifici agli enti bilaterali (in tema di certificazione, di rapporti interpositori, di formazione professionale, ecc.) ne sottolinea le potenzialità strumentali alla modernizzazione e alla stabilizzazione del nostro sistema di relazioni industriali. Ciò in particolare grazie alla possibilità che gli enti bilaterali espletino oltre alle ordinarie e tradizionali funzioni di mutualizzazione rispetto ad obblighi del datore di lavoro e altresì funzioni, del tutto innovative, di tipo autorizzativo e certificatorio, a beneficio di una complessiva regolarizzazione del mercato del lavoro.
[9] Aveva già sottolineato tale aspetto relativamente al patto di Ferrara del 29 giugno 2000, lo stesso M. Biagi, Il contratto di prima esperienza nel patto territoriale di Ferrara, in GL, 8 agosto 2000.
[10] Cfr. le osservazioni di G. Ferraro, Sviluppo e occupazione tra europeismo e localismi, in WP, CSDLE ‘Massimo D’ Antona’, n. 5/2002.
[11] Una sintesi del dibattito dottrinale emerso può leggersi nel resoconto sintetico del Convegno su Devolution e diritto del lavoro svoltosi a Roma il 6 dicembre 2001 consultabile all’indirizzo http://www.amministrazioneincammino.luiss.it/convegni
[12] D’altra parte anche il Piano Nazionale per l’Occupazione italiano del 2001 segnalava nel nostro Paese un incremento dell’occupazione rilevante più per l’aspetto quantitativo che non per quello qualitativo. Anche a livello internazionale la prospettiva (e i rischi) sono molto simili a quelli europei. E la stessa OECD, ha posto tra i suoi obiettivi prioritari quello dello sviluppo territoriale – che segua la corrispondente decentralised governance – incentrato sul coinvolgimento tra settore pubblico, settore privato e società civile.
[13] V. per tutti la ricostruzione di L. Bobbio, I governi locali nelle democrazie contemporanee, Laterza, 2002, spec. Capitolo 6.