Maurizio Castro – Direttore Risorse Umane Electrolux Zanussi
Già dall’incontro veneziano del Diario era emersa la necessità di stendere un’agenda, tanto più urgente quanto più meditata, per le relazioni industriali del Paese, sulla base degli esiti del negoziato, allora in corso e poi sfociato nel Patto per l’Italia.
Provo allora, in forma ruvidissima, a sottoporre alla riflessione della comunità che si raccoglie intorno al Diario un elenco di questioni, come tali suscettibili di esser portate subito a oggetto di un corrispondente tavolo.
Non prima, per lealtà, di essermi annoverato fra le schiere di coloro i quali hanno apprezzato il Patto e lo annoverano come una tappa assai rilevante nel cammino verso la compiuta modernizzazione italiana. E ciò soprattutto per due elementi: il carattere nitidamente europeo e, se mi è lecito, progressivo dell’intesa; la centralità riconosciuta al ruolo delle organizzazioni sindacali come motore di uno sviluppo economicamente, socialmente e istituzionalmente equilibrato del Paese (come a dire: ammesso e non concesso che nella maggioranza albergassero un partito neo-reaganiano e uno neo-adenaueriano, il primo sembrerebbe in virtù del Patto irrimediabilmente sfrattato).
Prima questione (e primo tavolo): la partecipazione. A mio avviso, si tratta dell’unico elemento la cui assenza si nota nel Patto; ma va lestamente rimediata, pena il rischio d’una claudicanza protratta e grave. Alla (legittima, e persino giusta) prudenza degli ambienti datoriali, si deve corrispondere introducendo forme di sperimentazione, su base volontaria, declinate secondo modelli e moduli personalizzati sulle specifiche culture ed esperienze di settore e d’impresa. Ma la partecipazione è l’architrave di una nuova architettura costituzionale delle relazioni industriali fondata sul decentramento, sul pluralismo, sul dinamismo, sul pragmatismo.
Seconda questione (e secondo tavolo): la riforma degli assetti contrattuali, che nessuna persona di buon senso (a cominciare dai dirigenti di Cisl e Uil) dovrebbe avere interesse a sospingere nell’orrendo gorgo del rinnovo del contratto nazionale dei metalmeccanici. Allora si sospenda l’avvio, previsto per ottobre, di questo negoziato (e magari si neutralizzi l’effetto del ritardo sulle retribuzioni del settore attraverso un rafforzamento ad hoc, in itinere, dell’indennità di vacanza contrattuale); e si avvii subito, invece, il confronto su un assetto che, coerentemente con l’impianto del Patto, favorisca lo spostamento del centro del sistema dal contratto nazionale al contratto aziendale o territoriale. Tavolo affidato all’autonomia delle parti sociali, è ovvio: ma attivamente sorvegliato dal Governo (e non solo), visto che il tavolo medesimo appare tutt’altro che indifferente a quel che le Regioni andran maturando e materiando nello spazio (sdrucciolevolissimo) del federalismo lavoristico disegnato dal novellato art. 117 Cost..
Terza questione (e terzo tavolo): la rappresentanza. Affrontare una nuova stagione di contrattazione, dopo il cataclisma del 5 luglio, con uno strumento fondato su un presupposto (l’unità d’azione delle organizzazioni sindacali) andato in frantumi, mi sembra un’operazione cinica, ipocrita, in ogni caso avventata e pericolosa. Provocatoriamente, dico: a questa stagione, e in attesa della riforma generale di assetti e rappresentanza, sembrano più acconce le r.s.a. che le r.s.u..
Quarta questione (e quarto tavolo): il terrorismo. E’ interesse di tutti, ma proprio di tutti, inaridire immediatamente e vigorosamente il processo di contaminazione del mondo del lavoro (e delle sue legittime aree di antagonismo anche radicale) da parte delle formazioni neo-brigatiste; la consultazione permanente tra tutte le organizzazioni sindacali e datoriali, funzionale a una cooperazione intensa e aperta con le istituzioni, è uno strumento simbolicamente potente e operativamente utile, da attivare con coraggio e consapevolezza.
Quinta questione (e tutti i tavoli che servono): il recupero della Cgil alla pienezza (e all’autonomia) della contrattazione. Esso deve avvenire, da subito e con lucida concretezza, non solo ovunque appaia possibile in relazione all’ordinario atteggiarsi e configurarsi delle vicende economico-sociali locali e settoriali, ma anche aprendo deliberati spazi di sperimentazione e di ‘laboratorialità’ contrattuale: penso, in particolare, a tavoli aziendali ad alta valenza paradigmatica (e.g.: la ristrutturazione e lo stesso integrativo del gruppo Fiat; la riscrittura delle regole del gruppo Electrolux); o a tavoli nazionali a esplicita destinazione europea (e.g.: la ricezione sotto forma di avviso comune del Piano nazionale per l’occupazione 2002, anche alla luce dei più recenti orientamenti della Ces).