Chiara Moriconi
Il rinnovo del contratto dei metalmeccanici è sempre stato uno dei momenti più conflittuali delle relazioni industriali in Italia. Questo, in parte, per motivi oggettivi, ma anche e forse principalmente per motivi soggettivi. Da un lato infatti l’ampiezza e la difformità del settore ha sempre reso difficile trovare le necessarie mediazioni di interessi fra le parti, e prima ancora nell’ambito delle singole associazioni di rappresentanza; dall’altro i rappresentanti sindacali delle parti hanno sempre costituito l’ala più ideologizzata ed intransigente dei rispettivi schieramenti.
Tant’è vero che il rinnovo del contratto del 1990, realizzatosi senza scioperi, fu salutato dal mondo delle relazioni sindacali e della stampa specializzata, come un segno di forte innovazione del sistema e si pensava fosse sintomo di cambiamento da un modello più propriamente conflittuale ad uno più cooperativo, segno, si diceva, di una difficile evoluzione della politica sindacale e dell’altrettanto difficile consolidamento del metodo della concertazione.
Così non è stato, e le successive negoziazioni lo hanno dimostrato, impuntandosi oltre che sul merito specifico che di volta in volta si affrontava, sull’interpretazione degli accordi interconfederali (in particolare quello del 23/7/93) e delle norme contrattuali specifiche di recepimento di quelle normative.
Si è giunti così all’accordo separato del 2000 (la Fiom, commettendo a mio avviso un grande errore strategico non firmò quell’accordo, pur in presenza di uno scenario politico assai diverso dall’attuale, smentendo così anche coloro che ritengono che un governo “amico” sia determinante per il comportamento del movimento sindacale), ed alla situazione di oggi, con la presentazione di piattaforme separate, in presenza peraltro di una situazione difficile del settore che ha il suo apice nella vertenza Fiat.
Non vorrei già adesso fare una specifica disanima delle singole piattaforme: queste, infatti, non sono state ancora, mentre scrivo, presentate a Federmeccanica, né hanno concluso il loro iter interno, e sono quindi ancora suscettibili di cambiamenti e di aggiustamenti. Quello che sembra però non modificabile è la scelta, molto difficile e molto pericolosa per i sindacati italiani, che hanno una loro storia e forti tradizioni, di presentarsi alla controparte divisi e con richieste fortemente diversificate, offrendo uno straordinario alibi a chi, all’interno del mondo delle imprese (e forse anche al di fuori di quel mondo), pensa che non sia questo il momento (e taluni forse che non sia mai il momento) di preoccuparsi del rinnovo di un contratto di lavoro, a maggior ragione se dei metalmeccanici.
E’ chiaro, per chi segue i percorsi delle relazioni sindacali, che questa situazione, pur essendo, o forse meglio, essendo stati i metalmeccanici, la ” punta di diamante”, come amano essere chiamati, del movimento sindacale, non è, nell’attuale contesto, specifica della categoria. La situazione creatasi tra le confederazioni, a tutti ben nota e che comunque esula da queste riflessioni, ha certamente favorito la separazione ed inasprito i contrasti, dando spazio a chi in Cgil e in Fiom ha sempre voluto privilegiare il conflitto e comunque la preponderanza sulle altre organizzazioni, e chi in Fim e in Uilm (ma in particolare in Cisl) ha sempre spinto sulla propria, affermata capacità di innovazione, mal sopportando i vincoli che la presunta unità comportava e la pretesa superiorità (certo numerica). Ma anche non approfondendo i singoli punti qualche osservazione sembra necessaria.
Non credo ci sia bisogno di sottolineare ancora come il presentarsi alla trattativa, sempre che trattativa ci possa essere, con richieste e posizioni separate e diverse indebolisce sostanzialmente la posizione contrattuale, dando adito, se lo volesse fare e se i tempi economici lo consentissero, a Federmeccanica di utilizzare questa situazione, con qualche onere ma con obiettivi di medio termine che potrebbero risultare interessanti, almeno per un numero significativo delle aziende che rappresenta.
Riesce difficile capire perché Fim e Uilm, che pure furono insieme firmatarie del contratto 2000, abbiano comunque deciso di preparare e presentare piattaforme separate, indebolendo in tal modo una posizione che poteva essere, se fra loro unitaria, più forte e propositiva, accreditando tra l’altro l’idea della presenza comunque di un area sindacale “riformista”, pragmatica, volta a tutelare gli interessi dei suoi rappresentati attraverso l’arte del possibile, puntando sulla riaffermazione della concertazione e sullo sviluppo di modelli partecipativi e costringendo Federmeccanica a scelte precise, compresa quella di assumersi la responsabilità del conflitto. C’è ancora tempo, chissà?
Qualche brevissima considerazione sul merito. Le richieste Fiom sembrano abilmente studiate per non fare nessun accordo. Risaltano le affermazioni di principio che sembrano confermare il predominare dell’aspetto politico su quello più propriamente sindacale. Insomma, si fa fatica ad immaginare come, anche volendo, quelle richieste potrebbero trasformarsi in articoli contrattuali. Ed anche da un punto di vista politico sembrano un consapevole ritorno al passato rispetto all’evolversi delle relazioni sindacali dell’ultimo decennio. Un esempio significativo: la possibilità “a scelta” dei lavoratori di richiedere aumenti uguali per tutti. Se non ricordo male questa politica salariale era stata ritenuta dalla stessa Cgil un grave errore, con anche pesanti conseguenze nel rapporto con i lavoratori. E’ difficile immaginare come, anche volendo, quelle richieste potrebbero trasformarsi in articoli contrattuali.
Viene ignorato l’accordo del ’93, le sue regole e i suoi limiti, avvalorando la tesi di chi sostiene la concertazione essere morta e seppellita da un pezzo,e vengono toccati tutti i temi sui quali è nota l’acuta (e spesso eccessiva) sensibilità di Federmeccanica. Non solo, quindi, l’importante richiesta economica ma riduzione della flessibilità, dell’orario di lavoro, gestione dell’inquadramento e così via. In sintesi, aumento dei costi e aumento della rigidità del lavoro e del controllo politico delle Rsu. Appare come una esplicita la ricerca del conflitto.
Le piattaforme Fim e Uilm sembrano comunque più sindacali: affermano con forza il rispetto delle regole del ’93 anche se a prima vista sembra che i costi derivanti (come si calcolano, ad esempio, quelli conseguenti alla modifica dell’inquadramento?) superino i limiti di quell’accordo, pur nelle più favorevoli interpretazioni. Ma poiché l’affermazione politica conta e le richieste, per quanto ampie e innovative, sono sulla linea propositiva dell’ultimo decennio, una contrattazione difficile, certo, ma seria sembra possibile.
Riservando quindi a piattaforme ufficializzate ed approvate secondo i riti di ciascuno una analisi approfondita di costi e normativa, farei un’ultima osservazione. Esiste il rischio reale che, data la situazione economica generale e specifica del settore, davvero precaria, visti i rapporti tra le organizzazioni e fra queste e la politica, la possibilità che il contratto a firme separate del 2000 sia l’ultimo contratto dei metalmeccanici, almeno come siamo stati abituati a conoscerli, non è una possibilità remota.
Se le federazioni dei metalmeccanici, ed in particolare la Fiom che ha sempre affermato la necessità di mantenere i contratti nazionali come momento preponderante nelle relazioni sindacali, non vogliono poi essere ricordati come chi ha affossato questo livello, sarebbe forse opportuno che affrontassero una seria riflessione sulle possibili conseguenze a medio termine di atteggiamenti che, anche con poca strumentalizzazione, possono diminuire le tutele e i diritti faticosamente raggiunti.