Ieri è arrivato il primo rinnovo della stagione contrattuale, quello dell’industria alimentare, che è anche stato sottoscritto unitariamente.
Gianni Baratta, segretario confederale della Cisl, qual è il suo giudizio a riguardo e che influenza il negoziato degli alimentaristi potrà avere sulle altre trattative in corso?
Il rinnovo del contratto nazionale dell’industria alimentare è un segnale molto positivo perché segue fedelmente l’impostazione del nuovo modello contrattuale. La parte economica rispetta fedelmente l’indice Ipca e la contrattazione di II livello esce rafforzata, anche sul piano territoriale. Inoltre è importante il rafforzamento del welfare, tema che interessa trasversalmente tutte le categorie, con l’istituzione del fondo sanitario e dell’ente bilaterale.
Ma l’aumento del salario non è più alto di quello che si sarebbe ottenuto prendendo come riferimenti solo l’Ipca?
No. L’aumento è di 117 euro sui tre anni, gli altri 25 euro sono stati dati per il prolungamento di quattro mesi. Non ci sarà una deregulation sul modello contrattuale. I patti vanno rispettati e politicamente i tempi sono stati quelli giusti.
È anche un rinnovo unitario.
Sì ed è una buona notizia. Questo dimostra che quando le categorie affrontano i problemi concreti sanno essere realiste e positive. Spero che questo accordo sia in grado di contaminare quello dei metalmeccanici e anche altri tavoli come chimici ed elettrici. La tradizione della categoria dei chimici è stata finora fortemente innovativa, ma anche con una tenuta unitaria. È vero si è partiti con piattaforme diverse perché è prevalsa l’impostazione della Cgil assolutamente negativa su tutto l’impianto negoziale. Ma per fortuna la Cgil non è un monolite e ora l’apertura della loro stagione contrattuale sta evidenziando un dibattito interessante e vivace.
Quali sono queste aperture?
Il tema del welfare, per esempio, è un elemento che attraversa tante categorie. Vi rientra anche la bilateralità che comincia ad essere vissuta sulla base delle esperienze, dal momento che spazia dal mercato del lavoro alla formazione e altro. Poi ci sono le esperienze positive degli edili, degli artigiani, del commercio, tutti settori dominati da polverizzazione e marginalità che non possono permettersi il lusso del litigio. Conto molto sulle intelligenze delle categorie.
Vale anche per il pubblico impiego?
Sul pubblico impiego c’è un accordo con il Governo identico a quello del settore privato. Ci sono elementi aggiuntivi che devono fare i conti con le risorse stanziate contenute nella finanziaria. C’è comunque la volontà politica di dare lo stesso riscontro al settore pubblico e privato. Ci sono dichiarazioni dei ministri Brunetta e Tremonti che dicono che i patti verranno rispettati. Sono stati stanziati 3-4 miliardi invece dei 7 che servirebbero, ma noi abbiamo chiesto che la prima tranche sia reperita dai proventi dell’intervento sullo scudo fiscale. Del resto le piattaforme devono ancora essere presentate.
Cosa prevede per il futuro?
È un momento importante, ci sono tanti contratti in scadenza. È importante soprattutto un dato, nonostante la crisi oggettiva: nessuna controparte sta usando la crisi come giustificazione per non rinnovare il contratto nazionale. Non c’è il gioco di dire “non stiamo messi bene ne parliamo in un altro momento”. Il nuovo modello contrattuale ha dimostrato di poter funzionare, lo abbiamo preparato con cura. Se dovesse fallire si rischierebbe di tornare al contrasto di interessi, a uno scontro non positivo in una società come la nostra. Il nuovo modello è partecipativo e diverso dal modello antagonista operai-padroni, a cui qualcuno è molto legato.
Francesca Romana Nesci