Una storia che parte da lontano, le cui trame e sottotrame sono tante, a volte insinuate in postille di leggi prolisse, altre macroscopiche e sfacciate. “Le pensioni rischiano di essere inesistenti”, si legge in esergo a Il Titanic delle pensioni. Perché lo stato sociale sta affondando, il nuovo libro di Sergio Rizzo edito da Solferino nel maggio 2023. Quelle parole incise nella pietra sono state pronunciate dalla premier Giorgia Meloni il 9 novembre 2023 e Rizzo le assume come bandolo della matassa per non perdere la via nel tortuoso labirinto della storia della previdenza italiana.
L’intento di questo meticoloso lavoro, che è insieme di indagine, di accusa, di divulgazione e di ricostruzione, è chiarito fin dalle prime pagine: «Non ci dicono la verità. Ci fanno rubare il futuro ai nostri figli e ai nostri nipoti, un poco alla volta. Questo sta accadendo, e non ce lo dicono. Non ci vogliono dire che i nostri figli e i nostri nipoti non sapranno che cos’è una pensione, perché quando toccherà a loro avremo già mangiato tutto noi». In queste righe si scorge lo schieramento: noi e loro e tra noi e loro si annida una verità malcelata: «Non ci vogliono dire che presto la baracca non reggerà più, schiacciata dal peso enorme dei privilegi distribuiti a pioggia per decenni. Nessuno escluso». Loro: la politica, i burocrati. Noi: i lavoratori, la gente comune per antonomasia, gli elettori. La verità: lo stato sociale sta affondando, eroso dall’interno da questi subdoli tarli che a poco a poco mangiano una struttura che miracolosamente fino a oggi ha tenuto in piedi questo Paese. «Parlamentari e consiglieri regionali che percepiscono la doppia pensione con i contributi figurativi pagati dalla collettività, benefici incomprensibili per i militari, i dipendenti della Regione siciliana, i piloti e gli assistenti di volo, le decontribuzioni a pioggia per accontentare tutti. Fino all’esercito dei finti disoccupati agricoli e dei falsi invalidi civili». Le baby pensioni che consentivano di ritirarsi anche con meno di 35 anni. Ed è una verità malcelata perché è stata ed è sotto gli occhi di tutti, «ma non vogliamo sentircela dire» perché è una verità spaventosa «nel Paese più vecchio d’Europa, dove votano soprattutto gli anziani».
Siamo dunque vittime di un inganno – loro «lo sanno da sempre e ne hanno fatto strategia per conquistare il consenso» -, o forse complici – «la regola della politica è dire soltanto ciò che gli elettori vogliono sentirsi promettere». Fatto sta che questa impunita mancanza di onestà ha reso irreversibile un processo diventato distruttivo e così «l’inganno diventa assai più grave». Dal 1945, quando il governo di Ivanoe Bonomi apriva alla ripartizione e le pensioni da un sistema a capitalizzazione passarono a essere pagate anche con i contributi pagati dai lavoratori. Una scelta di “scarsa lungimiranza”, i cui effetti erano imprevedibili con così tante persone a lavoro e così pochi anziani, ed è proprio a quel punto che la politica si accorge delle formidabili potenzialità del welfare, una diligenza da assaltare come se non ci fosse un domani per assecondare i favori della politica, del sindacato, dell’industria e del consenso elettorale. Il colpo di grazia arriva poi nel 1969 con il governo del “doroteo” Mariano Rumor, attraverso l’approvazione di una “revisione degli ordinamenti pensionistici” che sostituisce del tutto il sistema a capitalizzazione con quello a ripartizione. Ergo: «Da quel momento in poi le pensioni non si pagheranno più nemmeno in parte con i soldi accumulati da ciascun lavoratore e investiti prudentemente in attività finanziarie, ma esclusivamente con i contributi versati dagli altri lavoratori in attività che non producono alcun reddito. E si calcola in proporzione alle ultime retribuzioni». Una valanga destinata a travolgerci, in cui i privilegi di una ristretta cerchia continuano a lievitare e a gravare sul carico che ci schiaccerà.
Quel domani che nessuno valutava durante l’assalto alla diligenza dello Stato sociale è arrivato e quel domani è oggi, in cui viviamo – tra l’altro – la più grave crisi demografica della contemporaneità «e il numero delle pensioni pagate è ormai pari al numero dei lavoratori attivi». Nemmeno gli immigrati (regolari) ci salveranno, come invece qualcuno spera, anche loro hanno smesso di fare figli. Siamo quindi davanti a un baratro colossale, ci avverte Rizzo, anche se dal 1992, con il governo di Giuliano Amato, poi con la riforma Dini del 1995 – che inaugurava il calcolo basato sui contributi effettivamente versati al posto di quello sullo stipendio – e la riforma Fornero del 2012 si è provato a metterci una toppa. Ma invano, in un paese sempre anziano con un sistema pensionistico che sta in piedi per miracolo. «Stime ottimistiche – continua Rizzo – dicono che nel 2046 la voragine delle pensioni arriverà a 200 miliardi. Una somma superiore all’intero gettito Irpef».
Che fare, quindi, di un sistema che per decenni «ha funzionato al di sopra delle possibilità del Paese. Soprattutto, sempre con uno sguardo rivolto al passato e mai al futuro»? Solo la retromarcia ci salverà, avverte Rizzo, una marcia indietro di ottant’anni. Prendendo innanzitutto atto delle rivoluzioni e controrivoluzioni che infestano un mercato del lavoro sempre più intermittente, che alimenta la precarietà e la competizione salariale al ribasso. «Gli stravolgimenti nell’assetto produttivo, con la forbice dei redditi destinata ad ampliarsi a dismisura e la fine del vecchio patto fra generazioni basato sul modello morente della società industriale, non mancheranno di avere risvolti profondi sullo stato sociale». Soluzioni e accorgimenti sono chiari e decisivi, non più prorogabili: lotta all’evasione fiscale e contributiva, riforma dei sussidi, introduzione del salario minimo che separi il lavoro dallo sfruttamento, separare l’assistenza dalla previdenza. «Ma qualcuno ci sta pensando?».
In questo tragico quanto appassionante excursus, Rizzo si assume la responsabilità di squarciare il velo di omertà che copre più misfatti che fatti della previdenza italiana, con il piglio indagatore del giornalista di razza e l’indignazione del cittadino frodato e consapevole. Non senza un certo tipo di ironia che caratterizza una scrittura aperta alla divulgazione, lontana quindi da sofismi e tecnicismi, questo libro risulta utile per un percorso di riappropriazione del principio costituzionale di uguaglianza davanti alla legge, per diritti e doveri. Ma soprattutto, in ultimo, il lavoro di Rizzo sembra un invito alla presa di coscienza e alla sveglia di quelle sopite, a tenerle sempre vigili dinanzi ai canti delle sirene elettorali, e ad allungare lo sguardo un po’ più al di là di sé stessi per pensare al futuro dei giovani.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Il Titanic delle pensioni. Perché lo Stato sociale sta affondando
Autore: Sergio Rizzo
Editore: Solferino
Anno di pubblicazione: maggio 2023
Pagine: 224 pp.
ISBN: 978-88-282-1267-6
Prezzo: 16,50€